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imageIn alto, il Parlamento Europeo a Bruxelles, in basso, neonazisti europei

Cari amici,

penso che oggi sia necessaria da parte nostra una riflessione su quel che sta accadendo in Europa. Perché oggi? Perché l’altro ieri c’è stata una clamorosa vittoria della destra antieuropea alle elezioni comunali in Francia, come era accaduto la settimana scorsa in Olanda con l’affermazione del partito di Geert Wilders; perché poche settimane fa la vittoria di un referendum in Svizzera ha avuto il senso di un sostanziale blocco all’immigrazione e anche agli accordi con l’Europa in questo campo. Perché i sondaggi indicano un’affermazione delle forze critiche nei confronti dell’Europa alle prossime elezioni europee intorno al 20%, che potrebbe essere molto sottovalutato, perché i partecipanti ai sondaggi preferiscono non ammettere posizioni non politically correct, come hanno mostrato anche i risultati inattesi che ho citato sopra. Del resto anche in Italia se ai voti antieuropei dell’estrema sinistra (grillini, Lista Tsipras) aggiungiamo quelli di destra (fratelli d’Italia, Lega, settori consistenti del Pdl), siamo certamente sopra al 40% dei voti, per non parlare degli astenuti, che probabilmente saranno la maggioranza o quasi.

image imageJean Marie Le Pen Marine Le Pen

Insomma, il risultato elettorale che si profila, sia a livello europeo che a quello italiano non può non preoccupare chi appoggia la direzione politica dell’Europa (per fare solo un esempio: http://www.linkiesta.it/partiti-populisti-europa). E vi sono certo in questa situazione elementi per preoccupare anche noi, visto che una parte consistente (non tutti ma una maggioranza) dei movimenti antieuropei è anche antisemita e nemico di Israele. Anche senza parlare dell’Olanda e di Alba Dorata, Marine Le Pen ha cercato di fare un po’ di maquillage all’immagine del suo partito, ma le sue radici restano naturalmente quelle del padre, cioè di una destra legata al vecchio fascismo francese, naturalmente orientata all’antisemitismo. E anche a sinistra l’estremismo comporta spesso un atteggiamento antisemita, come si è largamente visto in Italia.

Giornali e forze politiche chiamano all’allarme, chiedono appoggio per “l’idea di Europa”, rivendicano i vantaggi dell’Unione sul piano economico, della pace e dei diritti civili; ma naturalmente questi appelli servono a poco e sono anche poco condivisibili in linea di principio. Sarebbe meglio analizzare gli errori compiuti nel processo di integrazione europea e cercare di porvi rimedio. Per quel che ne capisco io, la radice dell’errore sta in un modo verticista, burocratico e ideologico di intendere l’Europa, quello che Hans Magnus Enzensberger, in un bel libretto dedicato al tema, ha chiamato il “mostro benevolo di Bruxelles”. Questo “mostro”, incarnato in una burocrazia formata da grand commis che si autroperpetua ed autoseleziona e naturalmente si vuole benevolo e progressista, ha concepito le grandi linee della politica europea in contrapposizione alle identità nazionali e locali e senza dover rispondere mai davvero a un Parlamento che non ha il potere né di imporre politiche, né di proporre legislazione e neppure di rovesciare la “commissione” che governa l’Europa senza essere stata eletta da nessuno. E’ dunque la sua cultura, sono i suoi valori e le sue scelte che hanno imposto politiche e scelte strategiche che hanno suscitato una forte resistenza nell’elettorato. Questo è avvenuto sul terreno economico, che è certamente importantissimo anche se non voglio discuterne qui: forse i provvedimenti del “rigore” erano giusti, forse no ma certamente gli interventi dell’Europa Europea non sono parsi all’opinione pubblica dei paesi interessati equi e democratici. Inoltre probabilmente le dirigenze nazionali hanno presa l’UE come parafulmine per scelte economiche molto impopolari e il risultato non deve meravigliare.

Ma c’è un altro problema altrettanto significativo delle politiche economiche ed è quello che riguarda le identità nazionali. Sulla base di un’analisi diffusa che lega il disastro europeo della prima metà del Novecento ai nazionalismi e forse di una volontà di imitazione del modello americano, che però deriva da una società di esuli, il mostro benevolo ha condotto senza dichiararlo una lotta continua ai “particolarismi” cercando di imporre comportamenti e regole uniformi in ambiti importanti delle culture nazionali, dalla scuola all’alimentare all’agricoltura. E lo ha fatto in maniera fortemente illiberale, imponendo regole burocratiche complicate e decisioni assunte da funzionari senza responsabilità democratica, cooptati sulla base di un ‘ideologia “progressista” e dirigista che non è mai stata davvero discussa né approvata dagli europei. Il luogo in cui questo modo di fare si è imposto con grande chiarezza è il tema sensibilissimo dell’immigrazione.

Se si pensa all’Europa che deve venire come un territorio aperto, senza storia e senza identità, in cui le diverse culture devono fondersi restando al massimo oggetti da museo, allora è giusto favorire l’immigrazione, ignorare gli aspetti reazionari e repressivi delle culture straniere da accogliere, prima di tutto quella islamica, magari lavorare per accettare in Europa la Turchia, con tutto il peso di una tradizione autoritaria e illiberale che si porta dietro. Questa è stata la politica degli eurocrati, da cui discende fra l’altro la totale incomprensione, se non l’ostilità alla volontà di Israele di esistere come Stato di un popolo: i risultati di questa ostilità venata di antisemitismo si sono visti.

imageNeofascisti ungheresi

Il risultato di tutto ciò è una forte opposizione anche culturale. I popoli europei sono portati in questo momento, anche sotto l’impatto della globalizzazione, a recuperare e valorizzare la loro identità, anche sotto il livello nazionale (è il caso dei catalani, degli scozzesi ecc.). L’Unione Europea non sarebbe necessariamente un ostacolo per questo recupero, ma le sue politiche lo sono. E’ chiaro che anche su questo terreno si svolge lo scontro. E qui bisogna essere particolarmente vigili: perché se l’offerta politica non accoglie in un quadro democratico queste spinte e si limita, come molti vorrebbero in questo momento in Italia, a stabilire un unico confine politico, quello fra democrazia e i suoi nemici “populisti” identificandolo con quello fra coloro che sostengono le politiche europee e coloro che non le accettano, fra favorevoli e contrari all’immigrazione indiscriminata, il rischio forte è di regalare al fascismo un settore consistente e magari maggioritario della cittadinanza. E’ vero che in Stati come l’Ungheria e l’Austria le cose stanno necessariamente così, che gli antieuropei sono antisemiti e tendenzialmente neofascisti; ma questo non è vero dappertutto, non per esempio con Wilders in Olanda. E’ importante che le spinte dell’elettorato, i suoi rifiuti del “mostro buono” e di Moment Media Ethics  vengano compresi e accolti da qualcuno, che ci sia una forte rettifica delle politiche e dei comportamenti europei non solo o non tanto sotto il profilo economico quanto sotto quello politico e istituzionale. Se questo avverrà, se ci saranno forze politiche democratiche capaci di raccogliere la sfida e cambiare l,’Europa, la crisi potrà essere superata. Ma se, come disse una volta Brecht a proposito della Germania Est, il governo sfiduciato dal popolo decide di sciogliere… il popolo, allora saranno guai.

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